L’EsteroVestizione societaria
“… si tratta di una pratica già codificata dall’ordinamento giuridico italiano…”
In un precedente post, dal titolo “Me Ne Vado”, reperibile in questa sezione del sito, ho iniziato a trattare lo spostamento di residenza all’estero, in particolare per le persone fisiche non titolari di attività economiche in Italia.
Alcune richieste di approfondimento mi sono giunte da amministratori e soci di società di capitali per lo più a conduzione familiare, che ritenevano che il solo trasferimento di sede legale nel Paese di destinazione realizzasse l’acquisizione della residenza estera della società e il conseguente assoggettamento in via esclusiva al regime tributario estero. E ciò pur mantenendo gli stabilimenti di produzione e il centro decisionale in Italia.
Ebbene, si tratta di una pratica già codificata dall’ordinamento giuridico italiano come “esterovestizione”, ed è estremamente rischiosa, in quanto mantiene la società assoggettata alla disciplina tributaria italiana. Società che, non presentando dichiarazioni e non pagando imposte in Italia a potrebbe essere considerata evasore totale
“… la sentenza non considera lo sviluppo tecnologico (…) ma tant’è: ad oggi i giudici ragionano ancora così.”
L’estero-vestizione si realizza ogni qualvolta un’impresa avente sede legale in un Paese diverso dall’Italia realizzi di fatto una mera struttura artificiosa all’estero, pur continuando nella realtà ad operare sul territorio dello Stato italiano, dove, in particolare, permane localizzato il luogo in cui vengono adottate le decisioni amministrative e gestionali della società.
La sentenza di Cassazione numero 27113/2016 che, invero, tratta un caso contrario, identifica gli elementi da cui si può desumere la fittizietà della sede estera che si realizza:
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- Laddove gli amministratori NON risiedano nel Paese in cui la società ha la sede legale
- E quando il le decisioni fondamentali e le direttive amministrative della società NON siano prese nel Paese ove la società ha la sede legale;
Posso trovarmi d’accordo con chi obietta che la sentenza non considera lo sviluppo tecnologico che permette alle persone di riunirsi da qualunque parte del globo, ma tant’è: ad oggi i giudici ragionano ancora così.
“… realizzando un’ effettiva stabile organizzazione estera con sede legale nel Paese di destinazione (considerando tutti gli aggravi organizzativi che questo comporta)”
Peraltro, Ancor prima della sentenza di cassazione, nel 2010, con circolare numero 51/E sull’argomento si esprimeva l’AdE fornendo degli indicatori di estero-vestizione, secondo cui una struttura societaria è di puro artificio quando:
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- non svolge alcuna attività economica all’estero;
- non possiede alcuna autonomia gestionale e finanziaria all’estero;
- Se Holding, risulti sotto-capitalizzata (spesso con capitale sociale sottoscritto e versato di pochi euro)
- o, al contrario, eccessivamente capitalizzata rispetto alla minima attività economica effettivamente posta in essere nello Stato estero
Il trasferimento all’estero di una società (ma anche di una persona fisica che svolga un’attività economica), quindi, dovrà necessariamente prendere in considerazione o il trasferimento effettivo dell’apparato amministrativo societario ad esempio realizzando un’ effettiva stabile organizzazione estera con sede legale nel Paese di destinazione (considerando tutti gli aggravi organizzativi che questo comporta), o , per gli imprenditori individuali, la dismissione degli asset aziendale e patrimoniale domestici, e, in ogni caso, il contestuale trasferimento effettivo estero della persona fisica, riprendendo le considerazioni del precedente post.
Alessandro Moschini.